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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 153
di Mimmo Carratelli
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Un dipendente dell’ospedale “Suizo Argentina”, con un cellulare, scatta di nascosto foto della tua degenza, Diego. C’è sempre qualcuno che specula sulla tua vita. Si chiama Horacio Josè Fernandez. Ma i giornali rifiutano di pubblicare le fotografie. Umanità? Solidarietà? Non so. Sono immagini sfuocate. Forse, non vanno bene per essere pubblicate.
Non tutto va male. Il giudice Maria Laura Garrigo de Ribori ha rigettato la richiesta di alimenti da parte della ragazza che assicura di avere avuto da te una figlia nel 1997. Il processo si è chiuso con la tua assoluzione.
Il Boca ha incontrato il Bolivar per la Coppa Libertadores e ha vinto 3-0. “La goleada è per Diego” hanno detto i giocatori che, prima della partita, hanno srotolato sul campo un lungo striscione giallo con su scritto: “Forza Diego”.
La “Bombonera” è risuonata a lungo di cori e gli altoparlanti dello stadio hanno diffuso una canzone scritta per te. “La Doce”, la curva famosa del tifo gialloblu, ha cantato a lungo: “Maradooo, Maradooo”. “La Doce”, cioè “la 12”, il dodicesimo uomo in campo, come si dice nella liturgia del pallone.
Tra paure e resurrezioni, sono nove anni che la tua vita va avanti così, pibe. Da quella prima crisi nella suite 1601 dell’Hotel Panamericano dove fosti trovato in coma. La tua vita appesa un filo dopo i sette anni napoletani di gioia e perdizione.
Dall’ospedale “Suizo Argentina”, dopo dodici giorni di degenza, giungono notizie rassicuranti. Ti stai riprendendo. E torni ad essere quello di sempre, ribelle e scanzonato. “Sono stufo di stare in ospedale, voglio andare via”. E vai via contro il parere dei medici. Nessuno riesce a trattenerti. “Datemi un pallone e vi faccio vedere se non sto bene”.
Vai via accompagnato da Claudia e dal dottore Cahe. Sei un folle, Dieguito. Il tossicologo Osvaldo Curci dice che sei ancora a rischio per il cuore. I giornali dicono che non sei guarito, che hai bisogno ancora di cure. Il quotidiano sportivo “Olè” titola: “Una guarigione più falsa di un dollaro celeste”. I dollari sono notoriamente verdi.
Torni nella residenza di Pascual Mastellone. Giochi a golf. Guardi alla tv la partita Boca Juniors-Newell’s Old Boys. Diego delle sette vite. Raduni gli amici e ordini uno spettacolo di fuochi artificiali per “festeggiare il recupero della libertà”.
Sul giornale torinese “La Stampa”, Mina, la popolarisima cantante di Cremona, “la tigre di Cremona”, ti dedica un articolo appassionato. “Diego Armando Maradona sta meglio. Sono felice. E mi dispiace soltanto della solita impudicizia di chi non lascia vivere o morire in pace qualcuno. Maradona è stato il più grande nel fare ciò che voleva fare e ciò che tutti volevano che facesse. Avrei voluto stare col popolo di Maradona che, fuori dall’ospedale, voleva soltanto fargli arrivare l’amore e la comprensione. Diego, mi corazòn està contigo”. Questo ha scritto.
E noi che cosa possiamo scrivere, pibe?
Un altro brutto momento è passato. Ma è passato veramente? Brutto è stato, bruttissimo, come confessi davanti alle telecamere di Susanna Gimenez, la più popolare conduttrice argentina: “Ho sentito un gran freddo, ero cosciente e ho visto la morte”.
E, allora, vuoi mettere la testa a posto, Diego?
Macché. Già pensi di tornare a Cuba. Fai programmi. Non ti fermi un attimo. Dai il nome a una produzione di vini delle cantine Raices De Agrelo di Mendoza che viene distribuito in Italia. Dici allegramente: “Ora arriva il vino, poi a Napoli arriverò anch’io”.
Il tuo vecchio amico Bagni ti chiama. E tu dici a Susanna Gimenez: “Starò qui, a Buenos Aires, un paio di settimane. Poi andrò a Cuba a risolvere alcune cose e, alla fine, mi aspetta un lavoro in Italia”.
Il lavoro è quel progetto di una scuola calcio in Romagna, con Bagni, corsi per giovanissimi tra gli otto e i sedici anni.
Ce la farai, Dieguito?
Niente è sicuro con te. Ogni giorno una novità.
E l’ultima è che sei di nuovo all’ospedale “Suizo Argentina”. Per una trasgressione alimentare, dicono i medici.
Un’altra crisi respiratoria.
Il dottor Cahe rassicura: “Un controllo di routine, due o tre giorni al massimo, dovuto a un eccesso di fatica provocato dal sovrappeso di Diego, mentre la sindrome di astinenza dalla droga è sotto controllo”.
Ma il giudice Norberto Garcia Vedia è più duro: “Maradona non può badare a sé”. E fa capire che l’astinenza dalla droga ti ha portato a uno stato incontrollabile, pericoloso.
Quando ne uscirai, Diego?
Siamo a metà maggio del 2004 e nessuno sa dirlo.