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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 1
di Mimmo Carratelli
Diego Maradona nelle Cebollitas dell'Argentinos Junior (Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)
Ce la vogliamo raccontare la favola del pibe per sentirlo più vicino, per stargli più vicino, per ripercorrere i ricordi e dare voce al cuore?
Hola, Diego! Sette anni insieme, tra via Scipione Capece a Posillipo e lo stadio San Paolo a Fuorigrotta. Sette anni napoletani. In nessun’altra città hai vissuto tanto, nessun’altra città ti ha voluto tanto bene.
Certo, il Boca è stato il tuo grande amore, il primo amore che non si scorda mai, quella maglia blu con la fascia gialla sul petto, ma ci hai giocato solo due anni tra i tifosi che, alla Bombonera, intonavano: “Y todo el pueblo cantò / Maradò, Maradò, Maradò”.
E Barcellona? Più dolori che gioie. Due anni in Catalogna, e quell’assassino di Andoni Goicoechea ti spezza una gamba, e i catalani ti chiamano “sudaca”, l’epiteto dispregiativo per tutti i sudamericani.
Poi, Napoli. Il regno fatato, le vittorie storiche, la gioia e i canti. “Oje vita d’’a vita mia”. E quel primo striscione, lungo venti metri, al tuo arrivo: “Nel cielo di Napoli ci sono tante stelle, Maradona è la più splendente”.
Raccontiamoci la tua favola, Diego, per stare ancora insieme. Dall’inizio? Dall’inizio.
I primi giorni del Pelusa. Ti chiamano così per l’esagerata peluria in testa, l’annuncio dei riccioli da scugnizzo. Gli annunci sono tanti quando viene al mondo il primo figlio maschio di mamma Tota e di papà Chitoro. 30 ottobre 1960, una domenica. E in quale altro giorno potevi nascere se non nel giorno di festa dei tuoi gol e delle tue piroette?
Nel vecchio Policlinico di Buenos Aires, un vagito forte e chiaro. “Ehi, mondo, sono qua”. Alle sette e cinque minuti del mattino. Bene, ora andiamo a casa. Andiamo a Villa Fiorito, alla periferia sud della città, dove ci sono strade in terra battuta e, forse, una casa senza gas e senza luce, e ci sono tante sorelle. Figuriamoci la festa per il primo “nigno”. Nonna Salvadora fuma la pipa.
Papà Chitoro si è appena trasferito a Villa Fiorito da Esquina, nella provincia di Corrientes, dove aveva una barca e pescava i dorados. Quando crescerai ti racconterà di quei giorni sul mare e ci tornerete insieme. In casa bazzica zio Cirillo che ha fatto il portiere di calcio. Come abbia fatto, non si sa. Lo chiamano “il tappo”. Comunque, ha giocato in porta nell’Estrella Roja di Villa Fiorito. Questo è certo. Ha una passione per l’Independiente perché il quartiere di Avellaneda è vicino e lui ci va a vedere le partite. Ma anche papà Chitoro ha giocato al calcio, ala destra ad Esquina.
Stai dritto e tiri calci alla prima palla. Te la regala tuo cugino Alberto Zàrate, detto Beto. A palla giocano tutti i bambini del quartiere. Tu ancora non ti sveli perché ti piace andare a vedere passare i treni e rubare zucche nell’orto del vicino. Monello, non c’è che dire.
Sulle strade in terra battuta di Villa Fiorito, in quelle vie Azamor e Mario Bravo, fai i primi dribbling. Hola, Dieguito. Tutti i ragazzini del quartiere sognano di diventare un giorno come Hector Yazalde che abita vicino Villa Fiorito ed è un asso dell’Independiente. A scuola ti piace la matematica e tutti dicono che, da grande, farai il ragioniere. Poi ti basterà un solo numero, il numero 10, per essere il più grande.
C’è una grande povertà a Villa Fiorito, ma anche una grande allegria. Giocando a palla, fai una smorfia curiosa: tieni la lingua fuori dai denti come se volessi assaporare il gioco e la vita.
Papà Chitoro ti porta a vedere il Boca. E’ storia nota. Prendevate il tram e andavate alla Bombonera, due posti nella curva nord. Due giocatori fanno impazzire la folla e tu li guardi incantati. Uno è Angel Clement Rojas. Ha una finta malandrina nei fianchi e va in gol come un ballerino. L’altro è Pianetti. Lo chiamano “Pocho” e, dentro le scarpette, ha una carica di dinamite. Ti innamori dei due campioni e del Boca.
Nessuno ci crederebbe, ma il tuo vero idolo abita a Villa Fiorito. E’ un ragazzo come te, si chiama Goyito Carrizo. Nessuno, nel quartiere, è più bravo di Goyito col pallone. Questo lo dicono tutti. Ma Goyito dice che il più bravo sei tu. Lo dice a tutti: “Il più bravo del quartiere è il Pelusa”.
Goyito va a fare un provino tra le “cebollitas” dell’Argentinos Juniors. Ce lo porta un impiegato di banca quarantenne, don Francisco Corneo, che dopo la banca gira per le periferie di Buenos Aires a fiutare il talento nascosto dei ragazzini che giocano al pallone per le strade. Goyito piace, può giocare con le “cebollitas” e lui ripete anche ai dirigenti dell’Argentinos: “C’è un ragazzino più bravo di me a Villa Fiorito. E’ il più bravo di tutti. E’il Pelusa”.
24/4/2004
  
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