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Calcio
Il prof Sarri tra Bearzot e Dostoevskij
di Mimmo Carratelli (da: il Mattino del 27.04.2017)
Più che la “panchina d’oro”, che i tecnici italiani gli hanno assegnato un mese fa con 25 voti su 61, davanti a Massimiliano Allegri (22 voti), quale migliore allenatore del 2016, questo nuovo riconoscimento per Maurizio Sarri, il Premio nazionale Enzo Bearzot, ha un significato profondo.

Non tanto per la motivazione sul bel gioco di Sarri, con un richiamo a una frase di Dostoevskij (la bellezza salverà il mondo), quanto perché il Premio dell’unione sportiva Acli col patrocinio della Federcalcio è intitolato a un uomo di sport come pochi, il friulano Bearzot, il vecio con la pipa, esempio luminoso di lavoro, lealtà, generosità, schiena dritta e grande qualità umana sotto una ruvida scorza senza compromessi, innamorato di un sogno che ebbe nell’urlo di Tardelli e nel titolo di campione del mondo dell’Italia, nella fantastica notte madrilena dell’11 luglio 1982, il premio più bello e meritato, sofferto perché duramente contrastato prima del trionfo.

Bearzot è stato il grande, appassionato testardo del calcio italiano da quando cominciò a creare la nazionale che dette spettacolo nel 1978 al Mondiale in Argentina e poi vinse in Spagna a dispetto di una campagna di stampa contraria, acre e prevenuta.

Un grande giornalista scrisse, dopo la stentata qualificazione dell’Italia al secondo turno della competizione finale in Spagna (contro Argentina e Brasile), che sarebbe tornato a casa se la nazionale di Bearzot avesse vinto il Mondiale a Madrid. Se ne vergognava.

Non tornò a casa e dovette piegarsi all’elogio dell’uomo che, solo contro tutti, ma con la piena solidarietà dei suoi ragazzi, portò l’Italia a vincere un Mondiale quarantaquattro anni dopo i trionfi della nazionale di Vittorio Pozzo.

Bearzot, in Spagna, fu un eroe solitario. Sono note le vicende del silenzio stampa per difendere la squadra dagli attacchi continui dei giornali italiani, esclusi “Tuttosport” del sublime Giglio Panza e di Pier Cesare Baretti e il “Guerin Sportivo” di Cucci e Meme Bortolotti.

Nei frangenti di quell’altissima tensione, un napoletano, Carlo De Gaudio, grande dirigente sportivo nel calcio e nella pallanuoto, fece da “cuscinetto” fra l’arrembante stampa, la squadra e Bearzot col suo bagaglio tutto partenopeo di furbizia, savoir faire, abili bugie e finte concessioni.

Se vogliamo, ma in modo decisamente meno drammatico e in un calcio diverso, senza più le opposte e acerrime ideologie tattiche di trenta e quarant’anni fa, Maurizio Sarri è stato anch’egli un sognatore solitario, fortemente convinto delle sue idee, del suo modo di intendere il calcio, pagando asprezze e delusioni sui campi provinciali, superando difficoltà e scetticismi sino a trovare la sua Madrid a Napoli.

Sono profondamente diversi Sarri e Bearzot. Intanto, le radici friulane del vecio con la pipa che usava il silenzio, dignitoso e fermo, però mai un segno di resa, in risposta agli attacchi continui.

Mentre Sarri è sanguigno, forse vulnerabile, toscanaccio nelle sue repliche, qualche volta addolcite da ironia napoletana per l’aria respirata a Bagnoli nei suoi primissimi anni.

Bearzot opponeva la sua figura alta e magra, un albero dritto in ogni tempesta, quasi ieratica e un carisma ossuto che pretendeva rispetto. Sarri è un vulcano fintamente dormiente che scoppietta ed esplode.

Scontati le origini e i trent’anni di differenza generazionale, Sarri ha qualcosa di Bearzot nella capacità di creare un vero gruppo solidale fra i giocatori, pronti a seguirlo “a occhi chiusi” e coi quali ha l’umiltà di confrontarsi.

Come avvenne nelle prime partite alla guida del Napoli che, al di là del modulo tattico poi corretto perché più appropriato alle qualità dei calciatori azzurri, siglò il superamento delle difficoltà e un vero patto di fiducia, stima e solidarietà.

Accadde anche a Bearzot all’inizio del suo progetto in nazionale. Mancando i risultati, il vecio si confrontò con i giocatori: andare avanti per la strada “impervia e impopolare” che avevano intrapreso o cambiarla la strada.

Andarono avanti facendo “una specie di giuramento”, come un giorno Bearzot raccontò. Accadde al Torneo del Bicentenario degli Stati Uniti, 1976. Fra New York e New Haven, battuti 2-3 dall’Inghilterra e 1-4 dal Brasile di Falcao e Zico, i calciatori e il vecio “firmarono” il patto per andare avanti.

Nacque allora il gruppo del quarto posto in Argentina e della vittoria in Spagna.

Tra Sarri e i giocatori del Napoli, la volontà di proseguire nella strada intrapresa, dopo due punti nelle prime tre partite del campionato scorso, debuttando a Reggio Emilia con l’1-2 contro il Sassuolo, esplose nel 5-0 alla Lazio, nella vittoria sulla Juve (2-1) e nel 4-0 a San Siro contro il Milan.

Da Bearzot a Sarri, il coinvolgimento totale dello spogliatoio, un clima di fiducia incondizionata nella consapevolezza di un progetto “speciale” e di una strada luminosa da percorrere insieme, nella simbiosi perfetta tra il carisma della guida e la disponibilità degli attori, quella “corresponsione di amorosi sensi” come Vittorio Pozzo ebbe a definire il “blocco” degli azzurri ai Mondiali degli anni Trenta.

Enzo Bearzot, poi, significa molto altro, come s’è già detto. La sua dirittura morale, la fiera resistenza alle difficoltà, la tenacia, quel suo essere duro e dolce “come un buon padre di famiglia”, l’orgogliosa modestia, la nobile umiltà e la capacità di insegnare calcio, quel calcio nuovo dell’Italia campione del mondo 1982 che fu il superamento del catenaccio per un gioco più propositivo.

Le qualità di un grande uomo di calcio. L’accostamento di Sarri al vecio con la pipa attraverso il Premio prestigioso in suo nome è un riconoscimento che deve inorgoglire e spronare il tecnico azzurro.

I tempi sono molto cambiati. E se dura fu la contrapposizione della gran parte dei giornali all’avventura appassionata di Bearzot, oggi la moltiplicazione ossessiva dei media non rende meno facile la vita di Sarri.

Oggi, più che all’epoca di Bearzot, l’allenatore deve “esibirsi” continuamente, le conferenze-stampa sono quasi quotidiane, le interviste televisive obbligatorie per contratto, la pressione è enorme.

Il “silenzio di Bearzot” forse non basterebbe più. Se Bearzot era un cardinale, Sarri reagisce da parroco di campagna, rude e brusco, con la parolaccia facile da toscano e il sorriso ironico napoletano.

D’altra parte, lui è per un calcio offensivo. Attacca. Non si difende.
27/4/2017
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