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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 96
di Mimmo Carratelli
Furono giorni in cui, a Napoli, divoravamo le corrispondenze da Buenos Aires di Oscar Piovesan e Oreste Bomben, carissimi amici e splendidi cronisti, tutte le cronache che parlavano di te, Diego, e ogni giorno c’era una notizia nuova perché s’avvicinavano i Mondiali negli Stati Uniti e il mondo del calcio si interrogava sulla tua presenza. Ce l’avresti fatta?

E come no, Dieguito. Sì che ce l’avresti fatta. Sarebbe stato il tuo quarto Mondiale e non volevi mancare alla festa, e magari, dopo la festa, avresti mollato senza più tentazione di prati verdi. Una festa come si deve e poi un grande saluto a tutti firmato Maradona.

Sapevamo, ne eravamo certi, che se fossi sceso in campo, come un giorno promettevi e un altro ci ripensavi, saresti stato ancora il mago del pallone, l’incantatore supremo, l’artista della “rabona”, il dispensatore di cross al bacio e di lanci fatati. Perché noi sogniamo sempre, Diego, nella città dei sogni dove tu eri stato il sogno più bello e straordinariamente vero.

Febbraio del 1994. Non volevi pensare al pallone. Avevi bisogno di quiete, di tranquillità, di guardarti dentro e decidere. Per due settimane ti rifugiasti sulla spiaggia di Oriente, una casetta modesta, il mare e i dorados, e pensieri, pensieri, capire fino in fondo che cosa potevi ancora dare e che cosa rimaneva della tua magia. Forse, Diego, avevi momenti di scoramento, però mai di resa. L’orgoglio, la voglia di rivincita, la risposta sul campo a tutte le ingiurie ricevute erano una “molla” grandissima.

Il 13 marzo ti videro alla “Bombonera” per assistere a Boca-Racing. Fu l’occasione in cui dicesti chiaramente: “Voglio giocare il Mondiale”. Questa fu la notizia e a Napoli facemmo festa perché significava che stavi bene, avevi voglia di allenarti, volevi essere El Diego.

Andasti a Ezeiza dove Alfio Basile aveva radunato la nazionale argentina e la tua sola presenza esaltò il gruppo perché il tuo carisma era sempre grande e la possibilità che tu giocassi negli States rafforzava la squadra.

Non eri ancora pronto, naturalmente. Ma Basile ti portò ugualmente a Recife per l’amichevole col Brasile, il 14 marzo, e andasti in panchina senza giocare perché non era ancora il momento. Fosti contento lo stesso. La panchina non era il tuo posto, ma fu una sosta felice, l’attesa di fiducia, forse proprio la promessa precisa e responsabile di un impegno grande.

Chiedesti a Basile che ti lasciasse fare da solo, lontano dalla curiosità dei cronisti, col tuo uomo più fidato e sincero, Fernando Signorini, e coi consigli del dottor Nestor Lentini che avrebbe preparato un programma di recupero, soprattutto per farti riguadagnare il peso-forma.

Volevi un posto isolato per concentrarti e sopportare i sacrifici di una preparazione durissima. Ti ricordasti di don Angel Rosa, il prete che avevi conosciuto a Oriente, e del suo invito a trascorrere da lui, a La Pampa, un periodo di serenità. Ti saresti potuto preparare in santa pace e, per distenderti, andare a caccia con don Angel. Il sacerdote fu felicissimo quando gli annunciasti il tuo arrivo.

Andasti a La Pampa con Signorini, Marcos Franchi, German Perez e Rodolfo Gonzalez, l’amico di famiglia che conoscevi da vent’anni. Ti piacque la piccola casa dove don Angel ti ospitò. Aveva un loggiato fresco. Fernando Signorini fu il tuo grande sostegno. Facevate sedici chilometri di corsa al giorno e, quando arrivò Miguel Angel Campanino, che aveva fatto il pugile, ti divertisti a incrociare i pugni con lui.

Era proprio un bel clima e Basile venne a vedere come andavano le cose e, con lui, arrivò anche il dottore Echevarria che parlò con Signorini, e tutti furono concordi che, fisicamente, miglioravi a vista d’occhio. Perciò Basile ti convocò per l’amichevole col Marocco a Salta.

La partita si giocò il 20 aprile, due mesi prima dell’inizio dei Mondiali ’94. Entrasti in campo con l’animo allegro. C’erano Sensini e Redondo, Balbo e Ruggeri, il tuo grande amico Caniggia e Batistuta in forma smagliante. Nell’attesa della gara, piovve qualche arancia in campo. Ne raccogliesti una per regalare agli spettatori quella tua magia da ragazzo quando palleggiavi a lungo con qualsiasi oggetto rotondo ti capitasse a tiro. Eri proprio felice.

Nel piccolo stadio “Gimnasia y Tiro” faceste una buona amichevole vincendo 3-1. Basile avrebbe voluto farti giocare solo un’ora, ma gli dicesti di lasciarti ancora in campo. “Mi sento un leone” gli urlasti. Il tuo gioiello fu un calcio di rigore. I giornali scrissero che eri tornato a far gol dopo 1.255 minuti. Facesti una faccia buffa meravigliandoti che fosse passato tanto tempo. A un quarto d’ora dalla fine, Basile ti richiamò. Inutile forzare. Entrò in campo Ariel Ortega che era il tuo compagno di stanza nel ritiro della nazionale.

Fu programmata una tournée in Giappone e scoppiò la prima grana.

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27/5/2005
  
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