Calcio
Non avrai altro Dio che il pallone
I dieci comandamenti nel calcio - 1
di Mimmo Carratelli (da: Guerin Sportivo)
Foto da Wikipedia
Il pallone, il dio pallone, una religione mondiale (con 17 regole al posto dei dieci comandamenti) che ha una delle massime chiese in Italia, cattedrali nei grandi stadi e parrocchie sui campetti di periferia, con quattro milioni di officianti (1130 giocatori solo sugli altari maggiori), e chierichetti, apostoli (Sacchi, Capello), profeti di sventure avverate (Rozzi, Anconetani), catechisti (1808 allenatori, salvo errori ed omissioni, da Antonio Acconcia a Mario Zurlini), i grandi sacerdoti che una volta vestivano solo di nero (354 arbitri, da Nicola Ayroldi ad Alfredo Zivelli, destinati alle funzioni maggiori) e tredici milioni di fedeli che frequentano le cattedrali e le parrocchie. E, naturalmente, papi (Abete, Artemio Franchi), cardinali (Matarrese), scomunicati (Carraro, Moggi) e santi (Vittorio Pozzo, Bearzot). Non mancano gli scismi (difensivismo, offensivismo, qualunquismo), gli apostati (Giraudo), le diaspore (fughe all’estero). Gli evangelisti, da Gianni Brera a Biscardi, rivelano la verità e la diffondono.  
 
In principio fu la palla, nell’isola dei Feaci (probabilmente la Corfù di oggi). Essa sfuggì alle bianche braccia della principessina Nausicaa finendo in un ruscello. Il colpo nell’acqua svegliò Ulisse, naufragato sull’isola e acquattato in un cespuglio. Ulisse si mostra ed è nudo. Nausicaa lo rifocilla. La palla resta nel fiume. E’ la prima palla-gol della storia. Ulisse va a segno nel cuore di Nausicaa. Viene tassativamente smentita la voce secondo cui un certo Apelle figlio di Apollo confezionasse una palla di pelle di pollo. Ridicolo.
Poi, fu il pallone. I Maya dissero che era rotondo come il sole e fissarono due date per le partite: i solstizi e gli equinozi. Gli Aztechi non ebbero limiti e lo colpirono con tutte le parti del corpo.

I cinesi fabbricarono un pallone fatto di una vescica di maiale riempita di capelli femminili perché fosse soffice.
I romani giocavano col pallone (arpasto), ma era rugby piuttosto che calcio: al Campo Marzio le squadre dovevano sfondare le difese avversarie per portare il pallone oltre una certa linea. Si scommetteva già. Una volta Cesare vinse 50 talenti e non c’era ancora la Snai.

Il pallone rinascimentale di Firenze è al centro di storiche discussioni e molti sostengono che la città toscana fu il centro del gioco del calcio in Italia. Un guazzabuglio di giocatori colpiva il pallone con i piedi e con le mani. La prima partita di cui si ha notizia fu giocata in Piazza Santa Croce il 17 febbraio 1530.
Ma gli inglesi ridono. Il vero calcio con i rigori, il fuorigioco, il portiere e gli altri dieci l’hanno inventato loro. A Firenze si faceva solo ammuina. Gli inglesi giocavano a pallone nei college. Dribbling e gol dell’Ottocento. Uno scrittore francese annotò: “Il calcio in Inghilterra è un utile e divertente esercizio. Una palla di gomma dalle dimensioni di circa una testa è colpita con i piedi. Non occorre altra scienza per giocarlo”.

Gli inglesi giocano e si organizzano. Essi possiedono il Verbo. Lo Sheffield, nel 1855, è il primo club calcistico al mondo. Gli inglesi hanno porte fatte di due pali, mancano all’inizio la rete e la traversa. Giocano con le mani e i piedi. Qualcosa non va. Lo scisma degli arti ha una data, 26 ottobre 1863, e un luogo preciso, la Taverna dei Frammassoni a Londra. Nasce un duro bipolarismo fra chi voleva conservare l’uso indistinto dei piedi e delle mani, ricordando il prodigioso gol con le mani di William Webb Ellis nel 1823, e chi escludeva le mani dal gioco.

Scissione e buona notte. Quelli che conservarono mani e piedi andarono a fondare la Rugby Union, quelli che privilegiarono i piedi dettero vita alla FootballAssociation. E’ questa la fondazione del calcio vero, dicono gli inglesi, e non hanno torto. Nel 1866 giocano la prima partita ufficiale. Nel 1872 giocano il primo incontro internazionale, di fronte Inghilterra e Scozia con 2934 spettatori. Fu consentito l’uso delle mani solo al portiere. Nel 1878, comparve il primo arbitro con fischietto.

Dall’Inghilterra il pallone attraversò i mari e diffuse la nuova religione. Come i padri pellegrini inglesi sbarcarono dal “Mayflower” in un posto che poi si sarebbe chiamato Plymouth (1620) per diffondere il puritanesimo nel Massachusetts, centinaia di calciatori pellegrini britannici, marinai e impiegati, sbarcarono da cento e cento navi nei porti dell’Europa e dell’America del sud portandovi la religione del pallone. Per sgranchirsi le gambe giocavano negli angiporti europei e americani gettando i semi del nuovo culto.

In Italia sbarcarono a Genova, Napoli, Palermo, Livorno, Savona, La Spezia. Il nuovo verbo si diffuse rapidamente, risalì le coste e fece proseliti a Udine, Ferrara, Alessandria, Cuneo. Si fa calcio a Gallarate nel 1876, a Bergamo nel 1879, a Busto Arsizio nel 1881, a Vercelli nel 1892, a Vicenza nel 1895, ma è Genova la più effervescente: 1893 nasce il Genoa, 1895 ecco l’Andrea Doria, 1899 il Liguria e la Sampierdarenese.

Battezza il Genoa un londinese smilzo, mister Sells, e la squadra già gioca su un campetto vicino ai carrugi, il dottor James Spensley rifinisce l’opera tre anni dopo. E’ il 1896 e Treviso organizza un torneo con la pretesa di assegnare lo scudetto primigenio, ignorato dalla storia. L’anno dopo, 1897, torna dall’Inghilterra a Torino il rappresentante di prodotti tessili Edoardo Bosio. Porta con sé un pallone, organizza una squadretta e semina il calcio nella città piemontese. 6 gennaio 1898, l’anno zero del calcio italiano, sullo spiazzo di Ponte Carrega a Genova, si incontrano il Genoa e l’International di Torino, 177 spettatori, 84 seduti su sedie in affitto, una giornata di freddo cane.

Ormai tutta l’Italia è percorsa dalla febbre del pallone, dalle Alpi (la Juve nasce nel 1897, di novembre, maglietta rosa e calzoncini neri) alla Sicilia (1898 c’è il Palermo nato da un’idea di mister Giuseppe Withaker che mostra il primo pallone nel suo giardino di Villa Sperlinga). Nel 1898 il Genoa vince il primo campionato ristretto a quattro squadre: la formazione ligure e tre club torinesi (International, FC Torinese e Ginnastica Torino).

Il pallone, il dio pallone, non avrai altro dio fuori di me, conquista e travolge l’Italia. La domenica diventa sacra per la partita di calcio, non c’è più solo la messa. Il cardinale di Bologna Giacomo Biffi confessa: “Il calcio ha qualcosa di misterioso più della fede”. I papi sono già scesi in campo, Giovanni de’Medici (Leone X) in una partita del calcio fiorentino (marzo 1495), però diciott’anni prima di diventare pontefice. Eugenio Pacelli (Pio XII) aveva un debole per la Juventus, Angelo Roncalli il papa buono (Giovanni XXIII) tifava per l’Atalanta, Albino Luciani (Giovanni Paolo I) teneva per il suo Venezia e KarolWojtyla (Giovanni Paolo II) aveva giocato al calcio da portiere a Wadowice, faceva il tifo per la Polonia, apparve due volte all’Olimpico di Roma, ricevette e benedisse una ventina di squadre di calcio. E il pallone ha sfondato nel Vaticano: un primo campionato nel 1947 fra i giardinieri, i contadini e gli inservienti delle ville pontificie, un campionato in piena regola dal 1973. Neanche Satana era riuscito a far tanto.
1/7/2008
  
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