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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 158 - Fine
di Mimmo Carratelli
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Quanti siamo al “San Paolo”, questa sera, il 9 di giugno del 2005, sotto un cielo blu-notte e le stelle che stanno a guardare? E’ la festa di Ciro Ferrara che lascia il calcio dopo 21 anni di partite, scudetti e trionfi, i primi dieci anni in maglia azzurra, i primi due scudetti col Napoli. E tu, Dieguito, sei qui alla festa dell’amico carissimo e nello stadio delle tue meraviglie. Siamo in ottantamila e forse più.
La festa è per Ciro, il cuore è per te in questa serata memorabile nella conca di Fuorigrotta. Ottantamila come nelle grandi serate del passato, le serate della Coppa Uefa e della Supercoppa, come nei pomeriggi magici del campionato, uno stadio gonfio di passione.
Tutto il mondo è al “San Paolo”, tutto il mondo dell’amicizia e del tifo genuino, il mondo del calcio che sorride e si abbraccia per la festa di un gentiluomo del pallone, Ciro Ferrara, il ragazzo di via Manzoni giunto ai 38 anni, mister 500 partite. Gli assi di ieri e di oggi, del Napoli e della Juve, tutti presenti per questo gentile guerriero, leale, generoso, unico per classe e simpatia.
Poi, in questa serata di sogno, ci sei tu, il più grande, Diego Armando Maradona, come sta scritto su un immenso drappo azzurro, l’amico ritrovato, il campione di ogni cuore.
Sul campo, nella ressa dei fotografi, dei giocatori, dei bodygard e degli intrusi, ti fai largo a fatica. Spingi e allontani che ti circonda e ti soffoca per avere spazio, per farti vedere, per vedere lo stadio pieno come ai bei tempi, per vedere la folla alla quale mandare tanti baci, e tanti ne mandi.
Ciro Ferrara e Diego Maradona, master e commander. Una serata da sogno. E la vecchia, straripante canzone del passato si rinnova: “O mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazòn? Ho visto Maradona, ho visto Maradona”.
Succede dopo quattordici anni. Due brillantini al lobo sinistro, uno al lobo destro, il gel nei riccioli neri, il sorriso dei tempi felici. Agiti un berretto azzurro dal prato dello stadio. Mandi baci, tutti i baci che hai conservato per questo giorno, per questo rapporto di amore che ha resistito al tempo e alla lontananza e che si è rinsaldato nei giorni delle tue sofferenze. Baci per i ricordi incancellabili, baci per le vittorie vissute insieme, baci per la nostalgia finalmente vinta, baci per tutto il buio ormai alle spalle.
Il primo abbraccio, nei corridoi del “San Paolo”, lo regali a Salvatore Carmando, il massaggiatore che baciavi in fronte prima di entrare in campo, uno che ha dedicato le sue mani magiche e il cuore a te, Dieguito. Vedendolo, urli: “Carmà!”. Un amico e una felicità ritrovati. La stretta dell’abbraccio tra il campione assoluto e l’umile massaggiatore. E subito, al tuo fianco, appare il piccolo scudiero dei sette anni napoletani, Carletto Iuliano, non l’addetto stampa, ma il tuo amico premuroso e fedele. E poi Dino Celentano, il dirigente azzurro più sincero, sulla sua barca al largo di Capri firmasti il contratto che ti legò al Napoli. E Gianni Punzo, il vicepresidente degli scudetti. Sono i primi abbracci. Ferlaino non c’è, timido e scontroso. E’ venuto in albergo per un saluto commosso e fugace.
La festa di Ferrara al “San Paolo” brilla del regalo più bello che hai voluto fargli, la tua presenza, che si è sommata all’omaggio di tanti campioni. Ottantamila in questa serata magica e una favola vivente sull’erba dei tuoi ghirigori.
Ci sono tutti i campioni del Napoli di felicità, e altri ancora. Obelix Garella, Bruscolotti felicemente soprappeso, il naso borbonico di Nando De Napoli, i denti di Roger Rabitt Fonseca, Careca la bomba, il piccolo grande Zola, Ferrario il tirarigori, l’atleta di Cristo Alemao, l’abbronzatissimo Bagni, Fabio Cannavaro palla di gomma, Francini con l’eterno sorriso gentile, Mauro col capello biondo curato, Giovanni Galli e Pecchia, Fusi, Pari, e i ragazzi di un tempo, Caffarelli, Carannante, Puzone, Ciruzzo Muro e il guerriero caprese Celestini.
Con loro gli juventini di Ciro Ferrara, il molto compunto Zidane, il monumentale Ibrahimovic col naso di sparviero, Gigi Buffon con una cresta di capelli, Vialli coi baffetti di Gengis Khan, l’onda bionda di Nedved, il soldatino Di Livio.
Tu non ce la fai a giocare la partita in onore di Ciro, hai un ginocchio che ti fa male. Dici: “E’ incredibile come la gente di Napoli si ricordi ancora di me”. Come potevi dubitarne, pibe?
Tra un tempo e l’altro della partita, afferri il microfono: “Buonasera napoletani”. Ed è un brivido immediato per noi, scroscia un applauso infinito. Quel “buonasera napoletani” lo dicesti per la prima volta nel tardo pomeriggio del 5 luglio 1984 quando apparisti per la prima volta al “San Paolo” per un palleggio di presentazione e il primo pallone calciato verso il cielo azzurro.
“Buonasera napoletani. Sono molto emozionato. Grazie ai ragazzi del Napoli e della Juve, ma grazie soprattutto a voi. Mi mancavano tanto Napoli e la gente di Napoli. Tornerò, ma non so se la strada sarà lunga o corta. Stasera mi avete dimostrato che vi ricordate di me con tutto il cuore. Questo per me sarà indimenticabile, per me, per Dalma, per Gianinna, per tutta la mia famiglia”.
Si gioca la partita, ed è anche la serata discreta di Ottavio Bianchi, l’allenatore del primo scudetto azzurro, di Albertino Bigon che vinse il secondo e una volta ti mise in panchina e un’altra volta ti escluse dalla formazione, di Fabio Capello che entra con passo marziale, lui è l’allenatore della Juve.
E si va avanti nella notte e, fuori lo stadio, è una confusione enorme dopo la partita. Il tuo ritorno a Napoli, chi lo dimenticherà mai?
Verrai ancora per la partita dell’addio? Non sei più obeso. Sei in una forma smagliante, sembri ringiovanito e i tuoi occhi brillano. Dice Bagni: “Ce l’ha fatta. Ha ritrovato la sua testa strepitosa. Gli è scattato qualcosa dentro, ha smesso di lasciarsi andare”.
Forse, potrà succedere di rivederti ancora a Napoli. Intanto: bentornato, Diego.
Il nostro racconto finisce qui, con l’abbraccio per il tuo ritorno. E’ stata una lunga storia da raccontare, allegra, triste, felice, disperata, di meraviglie e di dolori, di discesa all’inferno e di riscatto.
Ora stai bene, pibe. Che il Barba, come lo chiami tu, ti assista.
(Fine)