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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 10
di Mimmo Carratelli
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Ma che razza di calcio si gioca in Spagna, Dieguito? E’ un football furioso che distrugge la tecnica. E’ il calcio europeo, pibe. Prendi botte persino in allenamento! E il presidente del Barça, José Luis Nunez, non ti è neanche simpatico.
Nel club azulgrana, leghi bene con due giocatori, il tedesco Bernd Schuster e Carrasco, detto il lupo. L’allenatore è un tedesco, Lattek, uno che allena la squadra con le palle mediche da otto chili da spingere per tutto il campo e che ti sveglia alle 8,30 del mattino.
Hai una bellissima casa, a Pedralbes, il quartiere residenziale di Barcellona: tre piani, dieci camere, il campo da tennis, il campo per il calcetto e un’enorme piscina. E’ una casa così grande e così lontana dall’Argentina che la vuoi sempre piena di amici. E’ il clan del sentimento e degli asado.
C’è Claudia con te. Ha 22 anni, siete coetanei. Ci sono i tuoi amici dell’Argentinos, il magazziniere che somiglia al pugile Galindez e Osvaldo Dalla Buona che sistemi nella seconda squadra del Barça.
Il magazziniere si chiama, in realtà, Miguel Di Lorenzo, ma tu lo chiami Victor, il nome del pugile argentino che è stato il re dei mediomassimi negli anni Settanta. Ti piace la leggenda di Victor Galindez che, quando doveva scendere di peso, faceva pazze corse in moto, notti di baldoria e saune infinite. E’ morto, Galindez, nei primi mesi del 1981 in un incidente d’auto. E’ rimasto il suo mito, in Argentina.
Si fermano per lungo tempo, a Pedralbes, mamma Tota e papà Chitoro, i tuoi grandi affetti, e tua sorella Maria col marito Gabriel Esposito, che non ti piacerà mai, e il figlioletto.
La villa è grande. Ha due custodi, un cuoco, il giardiniere e due cameriere. Jorge Cyterszpiller alloggia da qualche parte, con una ragazza spagnola, Angie. Si sistema anche il tuo cameraman Laburu.
Cyterszpiller piazza la “Maradona Producciones” al sesto piano di un sontuoso palazzo sulla Gran Via Carlos III: vi lavorano una segretaria di origini friulane, Wilma Pagnucco, due ragazze spagnole e Guillermo Blanco (con moglie e due figli) che regge l’ufficio stampa.
Tanta gente, troppa. Ma tu hai paura della solitudine. Sei ancora un ragazzo e gli affetti, l’amicizia, la compagnia sono essenziali nella nuova città. E’ come se trascinassi un po’ di Buenos Aires con te, un po’ dei tempi delle “cebollitas” dell’Argentinos.
In Spagna picchiano, abbiamo detto. Vediamo subito com’è difficile la tua vita sui campi. E’ il settembre del 1982. A Siviglia rimedi due punti di sutura alla lingua. Contro il Saragozza giochi solo un quarto d’ora ed esci per la distorsione della rotula del ginocchio sinistro. Dicembre è il mese più nero. Contro il Real Sociedad, a un minuto dalla fine, lasci il campo in barella: rottura parziale dei legamenti del ginocchio sinistro. Non ti protegge più la Vergine Bambina?
Ci mancava l’epatite che ti tiene lontano dai campi di gioco per cento giorni. Ma arriva anche una buona notizia: il Barcellona esonera Lattek e assume Menotti.
Il campionato del Barça è una delusione, ma, accidenti, quante poche partite riesci a giocare. Il tuo genio della lampada viene fuori in una indimenticabile sera di Belgrado, il 20 ottobre 1982. La tua classe purissima strappa due lunghi minuti di applausi ai 90mila che stipano lo stadio della Stella Rossa. Un’ovazione senza precedenti.
E’ una partita di Coppa delle coppe. Fai due gol, ma uno resta memorabile. A metà campo rubi la palla al tuo amico Schuster. Ti involi in uno slalom tra Rajkovic e Djordjic. Sei al limite dell’area. Davanti a te, stregati, Djurovcki e Sugar vorrebbero stringerti, ma li precedi, e, mentre il portiere Stojanovic sta per uscire, dipingi un lungo pallonetto che va ad adagiarsi in rete, delicato come uno strascico di seta.
E’ il più bel gol che si sia mai visto nelle coppe europee. La competizione ti esalta. Tre gol (di testa, su punizione magica e il terzo dopo un dribbling generale) li hai già segnati ai ciprioti dell’Apollon (8-0). A Belgrado, il Barça trionfa per 4-2. Sembra un percorso in discesa perché, nei quarti di finale, l’avversario è l’Austria Vienna. Per l’epatite salti il match di andata in Austria (0-0), giochi il “ritorno” quando ti sei appena rimesso in piedi. E’ un maledetto 1-1 al Nou Camp e la Coppa finisce qui. Passano gli austriaci.
Dal Mondiale alle delusioni catalane (il Barcellona finisce quarto in campionato), il 1982 se ne va così.