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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 109
di Mimmo Carratelli
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“Sono stato, sono e sarò un tossicodipendente”. Così, Diego, cominci la tua confessione al settimanale argentino “Gente”. E’ un colpo al cuore per tutti noi che ti vogliamo bene. Ma hai trovato il coraggio di parlare. Perché? “Voglio vedere se posso aiutare i ragazzi raccontando che cosa mi ha fatto la droga”.
Racconta, Diego, racconta la tua pena e la tua disperazione, la lotta disperata e la sconfitta, la solitudine, le paure.
“Nel momento in cui ti droghi, pensi di essere furbo. Sei insicuro dentro e cerchi qualcosa che ti faccia sentire forte. Ma, una volta presa, non sei mai in grado di gestire la droga. E’ lei che ti manovra”.
Un talento unico, un campione del mondo, un uomo ricco e amato, idolatrato negli stadi, un giocoliere senza uguali che dispensa gioia e ne riceve, come può essere insicuro? Come può succedere che si avvicini alla droga?
“All’inizio è una cosa divertente, la provi, ti illudi che sia un divertimento e basta. Però provi un grande shock emotivo. Ti sembra di conquistare il mondo. Nel 1982 già mi drogavo. Sono dovuto diventare grande di colpo. Non ho avuto adolescenza. Subito al centro del mondo”.
Racconta, Diego, come è potuto succedere.
“Se la provi una volta e ti fa male e vomiti e ti scoppia la testa in mille pezzi, non la provi mai più. Però a tanti non succede questo, diventano euforici. E io diventavo euforico e l’euforia piace a tutti. E’ come vincere un campionato. E dici va bene, è meraviglioso, domani che cosa mi importa, tanto io ho vinto il campionato. E il giorno dopo continui. Però non solo non vinci alcun campionato, ma stai perdendo la vita”.
La vita, Diego, perdere la vita. Neanche questo ti ha fermato.
“Tutto prende un verso ineluttabile. Ti sembra proprio di conquistare il mondo. Ma dopo, dentro di te, senti una solitudine tremenda, hai una paura terribile. Ti vengono i dubbi. E quando ti senti molto giù devi avere molto equilibrio altrimenti ti uccidi”.
Nessuno ti ha aiutato, pibe. Nessuno ne è stato capace.
“Sapevo a che cosa andavo incontro. Mi chiedevo perché l’ho fatto, perché ti sei drogato. Il problema grande è che non ne potevo parlare con nessuno. Il tossicodipendente solitamente non parla. Nessuno lo può capire. La condanna è facile, la comprensione non c’è mai. E’ un malato e basta. Nessuno lo considera una vittima e l’aiuta. Si propone di non drogarsi più, s’addormenta e, il giorno dopo, dimentica tutti i propositi e comincia di nuovo a drogarsi. Non ha nessuno vicino. Con mio padre non si può parlare di droga. Si può parlare di tutto, ma non di droga. E invece i ragazzi devono parlare con i genitori, subito. E’ molto importante”.
E il talento che se ne andava, Diego?
“La droga ti annebbia, non ti lascia vedere più in là di una spanna. Molte volte ho sniffato e, dopo, ho cercato di prendere la palla e non ci sono riuscito. Volevo dare un calcio in un modo e non ci riuscivo. Il mio cervello cercava di dare degli ordini, però il corpo non rispondeva”.
Il talento se ne andava senza poterci fare nulla. Ma come è stato possibile, Diego? Come potevi distruggere il talento che apparteneva non solo a te, ma a tutti coloro che ne godevano, che facevi felici, ai quali regalavi un sogno? Non c’è una risposta precisa. Bisogna cascare nella droga per capire.
“Mi sono drogato durante una parte della mia carriera, però mai ho usato la cocaina per stimolarmi. La coca non serve per essere il migliore in campo. Non serve per la vita. Ti fa restare di sasso. Non serve a niente. Con la cocaina sono un giocatore qualsiasi. Con la droga ho smesso di essere Diego e sono diventato un uomo al quale non piace per nulla guardarsi allo specchio”.
Continuiamo a non capire. Un grande talento per compagnia non poteva bastarti, Diego? Il mondo ai tuoi piedi. Troppo ai tuoi piedi, troppi a prendere da te senza dare nulla, falsi amici e profittatori, troppi a chiedere, a pretendere, a trascinarti nelle baldorie perché tu e i tuoi soldi aprivano tutte le porte, e poi che cosa ti restava?
“Una grande solitudine e gli psicologi che ti interrogano per ore e non ne puoi più. Perché non hai bisogno di medicine, ma di amore. Nessuno ti aiuta veramente a uscire dalla droga. Avevo bisogno di comprensione, non di repressione. Ma c’era già pronta per me la condanna assoluta. Sei nella trappola dei giornalisti, dei giudici, della polizia. Tutti sono come la polizia che ti dice non drogarti e ti dà un pugno in bocca. La mia famiglia mi ha aiutato a non finire peggio”.
Così una favola è diventata una storia triste e i giudizi spicci e sommari non spiegano niente. Ma è un gioco antico e crudele quello di abbattere gli idoli, di vederli nella polvere. Calma l’invidia, riduce le frustrazioni, fa sentire superiori. La solitudine di Diego chi l’ha mai capita?
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