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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 70
di Mimmo Carratelli
Lunedì mattina si ripeté la sorpresa della prima volta. Tutti al lavoro e la città pulita dopo la gran festa notturna del secondo scudetto. L’Italia ammutolì. Era pronta a sparare rampogne e giudizi contro il disordine, l’assenteismo e i vizi di Napoli. Rimase a bocca aperta.

Aprile finì così e, a giugno, sarebbe cominciato il Mondiale 1990. Ti prestammo, Diego, alla nazionale argentina. Il professor Dal Monte ti tirò a lucido con le sue macchine della buona salute e il fedele Fernando Signorini curò, accarezzò e tenne al massimo il tuo stato di forma. Avevi 29 anni. Dicesti che non eri più giovane, ma non eri ancora vecchio. “Sono esperto” dicesti. Avevi avuto il solito problema al bacino e ti eri allenato poco. Chiedesti a Chenot una dieta per perdere gli otto chili in più. Da Merano arrivò la ricetta magica.

Non eri contento della tua nazionale che doveva difendere il titolo mondiale conquistato nel 1986 in Messico. Bilardo lasciò fuori Valdano il poeta. Minacciasti di non giocare se non convocava Caniggia. Il raduno della nazionale argentina fu fissata a Trigoria, il centro d’allenamento della Roma, fuori dalla capitale. Ci si arrivava lungo una bellissima strada. Sarebbe stata la tua “prigione” per due mesi. Nella “prigione” portasti le tue due Ferrari e mettesti ad alto volume la musicassetta della lambada che ti aveva regalato Careca.

Eri concentratissimo. In una palestra di Trigoria, Signorini ti lavorò duramente con una macchina mostruosa che avevi comprato per diventare asciutto e scattante. Ti divertivi a correre sul nastro scorrevole. Le mani di Monica, una massaggiatrice che ti mandò il professor Dal Monte, sollecitò e lucidò i tuoi muscoli.

Un pestone ti aveva distrutto l’alluce destro. Infiltrazioni, fasciature e scarpini appositi non risolsero il problema. Soffrivi, il dolore era insopportabile. Dal Monte inventò un cappuccio di fibra di carbonio per proteggerti il dito.

Non erano gran che in forma i tuoi compagni. Oscar Ruggeri, il difensore, soffriva per una pubalgia. Jorge Burruchaga, che aveva risolto la finale dell’86 contro la Germania su un tuo magico allungo, era tutto incerottato. Lo stopper Tata Brown era fuori uso. Il terzino Olarticoechea se la passava male.

Prima partita a Milano contro gli stangoni del Camerun, i “leoni indomabili” allenati da un russo col vecchio centravanti Roger Milla, che aveva 38 anni, lo sgusciante Omam Biyick, gli stregoni del centrocampo, Onana in difesa, un colosso far i colossi neri.

L’avversario vero non fu il Camerun. Fu il pubblico milanese che ti fischiò insistentemente. In tribuna c’erano Claudia e papà Chitoro. Il campo era in uno stato pietoso. Tanto per cominciare il gigantesco numero 4 Massing ti rifilò il primo calcio. Picchiavano i camerunesi, tutti, e tu, Dieguito, eri il massimo oggetto del desiderio di far male. Il pubblico di “San Siro” fu tutto per gli africani e Omam Biyick fece il gol di un risultato sorprendente. Dicesti francamente: “Abbiamo perduto perché abbiamo giocato male”. Per i fischi agli argentini e gli incoraggiamenti e gli applausi ai camerunesi, il tuo commento fu ironicamente fulminante: “Grazie a me, gli italiani di Milano hanno smesso di essere razzisti facendo il tifo per degli africani”.

Il Mondiale fu un continuo via vai dal Centro di Trigoria. La seconda partita, contro l’Urss, si giocò a Napoli. “A casa mia” dicesti. Al “San Paolo” salì imperioso l’incitamento “Diego! Diego!”. Dovevi vincere, pibe, per non uscire dal Mondiale e Napoli spinse l’Argentina alla vittoria. Segnò Troglio, segnò Burruchaga, fu un 2-0 netto.

Con la manina ormai leggendaria evitasti un gol dei sovietici ricacciando il pallone vicino al palo della porta argentina dopo il colpo di testa di Oleg Protassov, uno spilungone. Un tocco di mano malandrino e via a calciare lontano la palla. I sovietici protestarono, ma l’arbitro disse “continuare, continuare”. Si infortunò il portiere Pumpido, entrò in porta Sergio Goycoechea, il basco che giocava coi Millonarios di Bogotà. Un’altra tegola che però portò fortuna. Il nuovo portiere sarebbe stato un protagonista.

Terza gara di nuovo a Napoli, contro la Romania, e ritiro prepartita all’Hotel Paradiso sulla collina di Posillipo. Lo conoscevi bene. Ti vedemmo sdraiato su una poltrona. Soffrivi per un brutto colpo al ginocchio destro e avevi la caviglia sinistra gonfia. Bilardo avrebbe voluto tenerti fuori. Si arrese alle tue proteste. Il match fu brutto, dominato dalla difesa romena. Ma, su un tuo cross pennellato, Pedro Monzon dell’Independiente vi portò in vantaggio. I romeni pareggiarono. Acchiappasti per i capelli la qualificazione al turno successivo.

Continua

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4/2/2005
  
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